ANNO 14 n° 119
Peperino&Co.
Il monastero delle Duchesse
un tesoro pieno di storia
di Andrea Bentivegna
20/02/2016 - 02:00

di Andrea Bentivegna

VITERBO - Come faceva notare don Salvatore Del Ciuco nel suo libro ''Viterbo Città Fulgente'' se si domandasse in giro qual è il Monastero della Visitazione sarebbero davvero pochi i viterbesi capaci di indicarlo, ma se provate a chiedere dove si trova quello delle Duchesse, tutti, in particolar modo i meno giovani, vi diranno che si tratta di quello vicino porta San Pietro.

Questo luogo, inaccessibile e splendido, ha una storia ricchissima e antica. In primo luogo il nome, quello con cui è conosciuto tra la gente comune, lo deve alla sua fondatrice la duchessa Girolama Orsini che, dopo essersi miracolosamente salvata da una malattia, decise, per riconoscenza, di fondare il convento.

La duchessa era la moglie di Pier Luigi Farnese, duca di Castro e Parma, e si ritirò a Viterbo proprio dopo la morte in battaglia del marito. A questo punto bisognava però ottenere l’autorizzazione del Papa alla costruzione del nuovo convento ma la cosa non dovette rappresentare un ostacolo insormontabile per la donna dal momento che suo figlio, Ranuccio, era un eminente cardinale con una forte ascendente su Paolo IV. E così difatti fu.

Per costruire il complesso si individuò subito un luogo storico e fortemente simbolico quello cioè dove anticamente sorgeva il palazzo del cardinal Raniero Capocci, raso al suolo nel Duecento direttamente per il volere dell’imperatore Carlo, figlio di Federico II che voleva così vendicare la cocente sconfitta subita dal padre proprio per mano del prelato viterbese.

Inizia dunque, nel 1557, la storia di questo monastero cistercense che avrà, da subito, una storia piuttosto travagliata. La duchessa, personaggio complicato, dopo poco e senza apparenti ragioni , sposterà il monastero nella cittadina di Castro. Le monache naturalmente si opposero senza successo a quello che sembrava un vero e proprio capriccio e si trovarono così a vivere alcuni anni in condizioni drammatiche nella nuova, infima, sistemazione finché, la morte di Girolama Orsini, consentirà loro di fare ritorno a Viterbo.

Da allora, e per i successivi tre secoli, il monastero vivrà sempre oscillando tra difficoltà economiche e grande fama fino al 1870 quando, con l’annessione al Regno d’Italia dello Stato Pontificio, la vita di tutte queste istituzioni tornò nuovamente in pericolo. Il monastero, per legge, sarebbe infatti dovuto confluire nelle proprietà del demanio statale cosa che avrebbe conciso con la sua inesorabile scomparsa.

A questo punto però si verificò qualcosa di sorprendente. Viveva allora nel monastero viterbese una suora, inferma e gravemente ammalata, molto conosciuta e già ''in odore di santità'', il suo nome era Maria Benedetta Frey. Non sarebbe stato certamente un gesto troppo popolare per i burocrati sfrattare dal convento una presunta santa allettata e sofferente, così si decise, salomonicamente, di ritardare il provvedimento almeno finché questa sarebbe stata in vita.

Una decisone provvidenziale perché nel frattempo, e siamo ormai ai primi del Novecento, diverse persone tra cui addirittura la regina Margherita di Savoia, ammiratrice di suor Benedetta Frey, donarono ingentissime somme di denaro con cui le monache poterono, di fatto, riscattare l’intero convento e sopravvivere, in quel luogo, fino ai nostri giorni.

Già, i nostri giorni. Attualmente, nel convento, sopravvivono solo quattro anziane sorelle, e visto quanto recentemente è successo con le clarisse di Santa Rosa, non sorprenderebbe aspettarsi per il convento di via San Pietro la medesima sorte. Del resto la struttura è enorme, ben al di sopra delle possibilità delle anziane suore, estendendosi, tra cortili e splendidi giardini, da via San Pietro fino quasi a ridosso di Porta Romana. Un tesoro nascosto e finora inaccessibile ma pieno di storia che la città non può permettersi di perdere.





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